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La sanità che vogliamo

Un libro manifesto sul lavoro delle donne in sanità

Pandemia: l’avverarsi della profezia delle donne che curano

Se un merito ha avuto la pandemia in questi lunghi terribili mesi è stata la generale chiamata affinché più donne in posizioni di leadership (che preferiamo chiamare autorevolezza) accorressero a sollevare le sorti del pianeta, restituendo loro una visibilità e una centralità mai raggiunte prima. Due sono stati in sanità i fattori favorenti: il protagonismo femminile, oramai irreversibile, e l’evidenza dell’insostituibile ruolo che proprio durante la pandemia le donne hanno giocato a tutto campo. Un lungo tempo che ancora perdura: un turno infinito fatto di cure elementari e specialistiche, di esperienze consolidate e sperimentazioni, di “sangue freddo”, fragilità e resilienza.

Un tempo che viceversa ha mostrato tutti i limiti del sistema che fino a qui ha mortificato il SSN e lasciato ai margini l’approccio femminile alla cura. I danni arrecati da anni di Sanità bancomat, l’inefficacia delle direzioni, l’inutilità delle piramidi dirigenziali, l’assenza di uno sguardo lungo da parte della politica, che ha mostrato la sua morte in diretta attraverso fatti – e immagini – da scenari bellici: le bare scortate dall’esercito, le case di riposo usate come reparti post intensivi, il balletto penoso dello scaricabarile, la ricerca di scudi penali nelle retrovie, le susseguenti fasi di annunci/fumo negli occhi ci hanno fatto misurare in chilometri e in anni una irreversibile distanza dai decisori politici e amministrativi.

Noi lavoratrici del SSN, non ci fidiamo più

Nell’illusorio, mortale abbraccio col liberismo imperante, senza creatività né etica, è mancato nei decenni e manca ancora alla classe dirigente il coraggio di una visione olistica della cura. E nonostante l’infaticabile impegno del Ministro Speranza, nell’insieme ancora non appaiono in agenda le premesse per un necessario cambio di rotta riguardo al settore da cui più dipende la vita del Paese. Quello che, assieme ai limiti di un intero sistema, la pandemia ha evidenziato è, in ultimo, la necessità di avviare una radicale trasformazione, di ripartire nell’unico modo possibile, e cioè tornando alle competenze. 

La sanità che vogliamo: un libro manifesto

Nasce da qui il progetto di questo libro, che è insieme denuncia e proposta. La sanità che vogliamo non è una richiesta, è un progetto che idealmente inviamo al Next Generation EU. Mira a cambiamenti strutturali rispettosi di chi il lavoro lo fa, analizzando criticamente gli aspetti deficitari e prospettando realistici percorsi per sostenere le nuove generazioni.

La sua forza risiede non solo nella estraneità alle liturgie del potere e nel rivolgersi a tutte le lavoratrici in Sanità, ma anche nella necessaria contaminazione tra discipline attualmente carenti nella formazione, per il bisogno di “umani protocolli” di fronte alla malattia, alla nascita e soprattutto alla morte.

Dopo la prima fase di lockdown, come professioniste in Medicina abbiamo discusso le nostre esperienze, analizzato le criticità dei presìdi e delle organizzazioni nelle singole realtà, alzato infine lo sguardo sulla necessità di cambiare il modello di governo della salute nella sua interezza, e non a compartimenti stagni. Per questo abbiamo lavorato a livello interdisciplinare con professioniste che si occupano di trasformare altri contesti: architette, psicologhe, economiste, filosofe, giornaliste.

Con questo approccio multidisciplinare e improntato al femminile abbiamo inquadrato in 3 D l’ospedale, la città, il quartiere, i trasporti, il verde, le difficoltà di comunicazione fra i territori (Medicina Generale, consultori, RSA): cioè il governo con cui si dovrebbe ri-costruire la salute del futuro, la prevenzione, l’organizzazione del lavoro, le relazioni. 

Sguardi differenti per rifondare la Sanità

  1. A partire dai numeri Linda Laura Sabbadini introduce come il lavoro delle donne, in particolare di cura, possa essere sinonimo di crescita e di benessere per tutto il Paese.
  2. Valore Prezzo Benessere della cura: dall’Area Formazione Femminile Anaao Assomed provengono esperienze e proposte su una differente organizzazione lavorativa: contratto, conciliazione, congedi-maternità, malattia, differenze nella retribuzione e nella progressione di carriera. Perché presto sarà l’attuale gran massa di donne a transitare tutti, curanti e curati, verso una Sanità che così come è organizzata, anche al meglio del welfare possibile, non può essere sinonimo di benessere per le donne e nemmeno per gli uomini.
  3. Fare i conti con la differenza. Donne/Uomini /Maternità: il coronavirus ha fatto emergere insieme alla superiorità numerica delle donne, il nodo irrisolto della maternità rispetto al loro essere differenti, prima che pari. La maternità non è più un destino ma porta con sé una differente relazione con gli altri. E allora, invece che piegarsi o adattarsi, bisogna ribaltare le priorità, ristabilire il valore (e non il costo) della dimensione procreativa e del prendersi cura. Un talento che non è da tutti, e che in questi terribili mesi ha tenuto insieme il Paese.
  4. Ridisegnare i luoghi di cura: è ormai urgente potenziare il territorio, inteso come fonte di servizi e relazioni. E costruire a partire dal dialogo e dall’ascolto di chi li abita, non di chi li commissiona. La nostra chiave di lettura sta nel prendere in considerazione l’insieme del percorso di vita delle persone. Una svolta consiste nel progettare strutture innovative, a partire da quelle per la nascita, costruite in relazione circolare, e non gerarchica, con l’attività dei presidi territoriali già esistenti e con la specializzazione degli ospedali, ma anche coinvolgendo il domicilio e al contempo facendo fronte alle esigenze della comunità di riferimento (scuole, asili, residenze per anziani).
  5. Ripensare il territorio: Medicina di base, Comunità per anziani, Consultori Familiari. Toccherà dunque alle donne ricostruire la continuità tra salute e malattia, tra cura e benessere, tra territorio e ospedale, tra vita e morte. Dobbiamo smettere di standardizzare l’arte medica, tornando a privilegiare le nostre unità di misura come la relazione tra curante e curato, l’etica professionale, la felicità.
  6. Scuola e Salute al tempo della pandemia. Scuola e Salute devono lavorare insieme nel circolo virtuoso alla base della Sanità che vogliamo. Le soluzioni delle donne partono dal presupposto che si tratta di diritti non contrapposti, ma complementari.
  7. L’Università, le Mediche, l’Accademia: anche alla base della piramide universitaria ci sono soprattutto donne: a loro il compito di ri-formare l’Educazione seguendo canoni di insegnamento al femminile. Non si tratterà di una mera sostituzione di sessi, ma della costruzione di insegnamenti, ricerca e assistenza in Medicina orientate verso l’abbattimento di iniquità, sessismo, colonialismo curriculare.
  8. Le donne possono governare la sanità rimanendo fedeli a se stesse: si può immaginare una alternativa all’attuale governance di stampo liberista? Guardando alla presenza femminile, se pure la percentuale di donne direttrici di Struttura Complessa o di Azienda Sanitaria fosse superiore all’attuale 16%, la trasformazione non sarebbe automatica. Come in sanità, anche il cosiddetto aspetto “manageriale” ha bisogno di una formazione ad hoc per poter indicare orientamenti al femminile. Il governo delle donne in sanità passa attraverso specifici processi trasformativi.

 

È questa l’unica via per l’autorevolezza. È questa la vera scommessa del futuro per noi.